Eccoci nuovamente con le notizie della settimana e con un approfondimento sull’overpackaging, cioè esempi di sovra-imballaggio per alcuni prodotti.
Ci stiamo sempre più avvicinando al 2030 e di conseguenza sta sempre più aumentando la pressione sociale sull’emergenza climatica. L’aspetto dell’overpackaging è strettamente collegato a ciò, in quanto, essendo una pratica che interessa grandi numeri, si potrebbe ottenere un grande risultato in termini di risparmio di risorse adottando un’inversione di rotta in questo settore.
Secondo un articolo del WWF, “dagli anni Cinquanta del secolo scorso, con l’avvio della grande diffusione dell’utilizzo della plastica, abbiamo prodotto 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, buttandone in natura circa 6,3 miliardi’’.
La Repubblica inoltre aggiunge che l’Italia si classifica nei primi tre Paesi al mondo assieme all’Arabia Saudita e al Messico per consumo di acqua in bottiglia, il cui settore produce circa 280 mila tonnellate di rifiuti in plastica.
In questo caso, basterebbe sensibilizzare maggiormente all’uso di borracce, di bottiglie in vetro o di fontanelle pubbliche. Tuttavia, non è l’unico campo in cui c’è un sovraccarico di uso di plastica nel confezionamento di una risorsa.
Cosmetici, alimentari e persino logistica, ad esempio, utilizzano troppi imballaggi per confezionare il prodotto finale. Quante volte vi è capitato di vedere mini porzioni di frutta con guscio o buccia ricoperte da veli di plastica sugli scaffali dei supermercati? Quante volte vi è capitato di buttare via quasi subito il contenitore di un lucidalabbra o di una cipria perché inutili? Quante volte vi è capitato di essere infastiditi da pacchi che contenevano scatole più piccole e magari avvolte da imballaggi protettivi inutili?
Ecco, questo è il fenomeno dell’overpackaging. Molti si giustificano parlando di inerzie progettuali o di protezione, ma in realtà in alcuni casi si tratta di prassi consolidate, magari legate prettamente all’estetica e al marketing, dure a morire.
In un’epoca segnata dalla velocità e dal dinamismo, le aziende si sono infatti adattate alle necessità di alcuni consumatori, puntando sulle monodosi o sulle confezioni singole racchiuse in packaging più grandi.
C’è però un’altra fetta di clientela che invece critica queste scelte e richiede a gran voce l’utilizzo di materiali biodegradabili e in generale un packaging sostenibile.
Come riporta Ipsos, società multinazionale di ricerche di mercato, il 37% degli intervistati italiani è attento alla compostabilità, mentre il 36% alla riciclabilità del pack che acquistano.
Alcune aziende hanno risposto, come documentato da uno studio effettuato da Plastic Consult (società indipendente che svolge studi e analisi di mercato nel settore delle materie plastiche). 252 aziende rappresentano l’industria delle plastiche biodegradabili e compostabili, con 2.550 addetti dedicati per 88.500 tonnellate di manufatti compostabili e un fatturato complessivo di 685 milioni di euro.
Accontentare entrambe le categorie di consumatori è possibile? sì, rimuovendo consapevolmente le parti inutili di un pack e sostituendo altre con materiali facili e completamente smaltibili. È stato il caso delle cannucce diventate di pasta e non più di plastica, per citarne una.
Attenzione però a non ricadere nell’imballaggio minimo, che rischia di rompersi o far danneggiare il prodotto e quindi provocare uno spreco. Per evitare di incorrere in tale rischio, l’azienda dovrebbe eseguire una serie di test per raggiungere il livello ottimale che il professore svedese Anders Sörås individua nel suo modello.
All’inizio, quando la curva è in alto, l’imballaggio è al minimo e il rischio/danno al massimo: qui si rischia di avere il prodotto spanto sul pavimento. Con l’introduzione via via di più strati, il prodotto rischia meno. Alla fine, si tratta di raggiungere il punto più basso della curva: il livello di confezionamento ottimale.
Insomma, ancora una volta la soluzione si conferma l’equilibrio, difficile da perseguire ma che dà grandi soddisfazioni e risultati.
L’appuntamento Sonar di oggi è terminato. Da Agata Borracci è tutto, linea allo studio.