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In questi primi giorni di aprile, si è tornati a parlare del delitto di Bolzano, quando Madè, sorella di Benno Neumair, il trentunenne accusato del duplice omicidio dei genitori, Laura e Peter, si è presentata come testimone all’udienza davanti alla Corte d’assise di Bolzano.
Madè non l’ha nascosto: «Benno ha sempre raccontato bugie, sin da bambino: è un tratto del suo carattere. In famiglia lo sapevamo tutti». La donna ha cercato di non guardare mai in faccia il fratello, ormai imputato reo confesso. Nonostante questo, prima dell’inizio della testimonianza, quando il giudice Carlo Busato le ha chiesto se volesse un separé tra lei e Benno, lei ha affermato che non sarebbe stato necessario.
Ha risposto poi meticolosamente a tutte le domande dei pm, soffermandosi su come aveva capito subito che Benno le stava mentendo, in particolare quando, il 4 gennaio, dopo la scomparsa dei loro genitori, lui aveva sostenuto di non saperne nulla.
Nel corso dell’udienza sono state fatte sentire anche alcune delle registrazioni delle telefonate tra Madé e il fratello in cui quest’ultimo negava tutto: «Sono triste perché non posso contare su mia sorella e il tuo atteggiamento non ci aiuta a trovare mamma e papà. Faresti meglio a pensare cosa può essere successo ai nostri genitori, a cercare la verità. Il tuo atteggiamento invece sparge solo fango. Pensaci bene a come mi tratti».
Ma questo è solo uno dei tanti particolari che non coincidono. Benno ha, infatti, raccontato come sarebbe stato Peter, suo padre, ad innescare una lite che lo avrebbe spinto a compiere l’atto estremo. Madé, d’altra parte, ha spiegato che l’uomo era una persona molto tranquilla e che cercava di evitare i conflitti, tanto che alcuni parenti lo avevano soprannominato “il mansueto biologo”.
A proposito di questo, abbiamo intervistato Marco Monzani, criminologo, sulle possibili motivazioni che possono spingere un figlio ad uccidere un genitore.
«La violenza intrafamiliare e gli omicidi intrafamiliari possono essere motivati da una serie di ragioni: da questioni di carattere psicologico ed emotivo nella relazione tra genitori e figli, ma anche, banalmente, questione di carattere economico, di eredità e di altro. Non c’è una chiave di lettura univoca per tutti questi casi, per tutti questi fatti: occorre un’analisi dettagliata della singola situazione per andare a ricostruire le dinamiche relazionali che hanno preceduto il fatto-reato […] Il lavoro che facciamo noi criminologi […] è quello di studiare […] ciò che è successo tra l’autore e la vittima fino a un minuto prima dell’omicidio, perché è all’interno di quella logica relazionale che molto spesso si ritrovano le risposte rispetto al perché è avvenuto un determinato fatto. Molto spesso le risposte sono le più semplici e le più banali: motivi economici, motivi d’interesse, dissapori, senza la necessità di scomodare per forza chiavi di lettura particolarmente sofisticate e suggestive […]. Quasi mai alla base di tutto questo ci sono patologie mentali: nonostante quello che si può immaginare o pensare, la maggior parte dei reati, e anche i reati più gravi ed efferati, sono compiuti da persone perfettamente sane di mente. Quindi le risposte sono da ricercare non tanto nella singola persona, autore o vittima che sia, ma nella loro relazione, intendendo la relazione come la terza creatura presente sulla scena del delitto, assieme all’autore e assieme alla vittima».
Da Claudia Gallinaro, per Cube Radio Venezia, è tutto.