La foresta amazzonica, il polmone del pianeta Terra, è un patrimonio naturale inestimabile da cui dipende l’intera esistenza del nostro Pianeta.
Luogo che ospita svariate biodiversità, a quella animale a quella vegetale, assorbe dalle 150 alle 200 miliardi di tonnellate di carbonio, e oltre a ciò queste foreste forniscono dal 17 al 20% dell’acqua dolce alla Terra, rappresentando un elemento fondamentale in grado di equilibrare il clima del nostro Pianeta.
Negli ultimi trent’anni sono andati persi 12.000 kmq di foreste all’anno, arrivando in alcuni anni anche a 28.000 kmq. Oltre ad essere casa di tantissime biodiversità, è casa di moltissime comunità di persone, che da queste terre traggono vita e che si stanno attivando sempre di più per partecipare a fermare questa deforestazione. Negli ultimi anni i governi locali e le Ong hanno attivato delle tecnologie satellitari per monitorare la situazione in tempo reale, il motivo principale per cui tanta terra sta subendo questo torto sono degli affari loschi, una macchia di violenza che vorrebbe bruciare questa grande selva per sfruttare la terra per scopi personali. Uno dei motivi principali per cui tanti appelli di soccorso all’Amazzoni sono stati aperti e ignorati il giorno dopo è perché questa mafia ci va di mezzo e riesce a coprire le proprie tracce. Con l’aggiunta di queste tecnologie come droni, Gps e smartphone che registrano tutto, le autorità locali difficilmente possono continuare a fare finta di nulla. Infatti, nel 2018 è nato un esperimento da parte della New York University e la John Hopkins, per la durata di due anni, in cui le università hanno collaborato con 122 comunità peruviane che vivevano nella foresta amazzonica, chiedendo a 76 di loro in particolare, scelte dopo un forum comunitario, di controllare il loro territorio. A 37 comunità è stato chiesto di continuare a farlo in modo tradizionale, mentre alle restanti 39 sono stati forniti gli strumenti tecnologici per farlo in un modo nuovo, tra cui tenendo traccia anche delle immagini inviate dal satellite fornito apposta, il “PerùSAT-1”, le cui immagini hanno alimentato la banca dati pubblica GeoBosques.
Questo satellite durante i due anni segnalava le anomalie, come incendi o disboscamenti, ai dispositivi in tempo reale, permettendo agli attivisti di andare subito in soccorso. Su questi territori enormi da controllare è stato visto che solitamente il tempo per raggiungere il luogo da salvare poteva essere anche di 15 giorni, per un pattugliamento tradizionale; mentre con l’aiuto della tecnologia bastavano anche solo 2 ore per avvisare le autorità fornendo delle prove veritiere e occorrere in soccorso. Un altro punto a favore di questo esperimento è stato dare gli attrezzi in mano alle persone del posto, sono loro infatti quelle che vi vivono, conoscono bene il luogo, quelle che vogliono il meglio per la loro terra che chiamano casa e che si sarebbero impegnati al 100% in questo piano.
Il monitoraggio hi-tech ha permesso di ridurre la deforestazione del 52% nel 2018 e del 21% nel 2019, sono stati salvati circa 456 ettari di foresta pluviale, che corrispondono a 234mila tonnellate metriche di ossido di carbonio in meno.
Le previsioni sono che continuando senza aiuto e senza monitorare il territorio, nel prossimo decennio l’Amazzonia potrebbe perdere altri 4,4 milioni di ettari di foresta. Una previsione amara, che solo le persone, attivandosi davvero, potranno cambiare.