Ciao a tutti e ben ritrovati ad una nuova puntata di ModaPuntoCom, Oggi abbiamo con noi Bali Lawal, fondatrice di “A Coded World”, modella afro-italiana, bellissima, di fama internazionale. Raccontaci: come sei arrivata nel mondo della moda?
I miei genitori, a Parma, ogni weekend, mi portavano fuori a comprare qualche vestito e ogni volta che provavo un vestito le commesse ci chiedevano se ero una modella. A furia di sentire queste parole ho chiesto a mia madre di fare la modella e tutto è cominciato così.
Tu racconti nella tua biografia on-line e nelle interviste che hai rilasciato, che all’inizio della tua carriera di modella sei stata una delle prime modelle di colore. Come questa caratteristica della tua immagine ti ha aiutato o, invece, ti ha creato delle difficoltà nel tuo percorso nel mondo della moda?
Inizialmente ha creato delle difficoltà però quando ho capito che non dovevo sentirla, perché parte della gente e non mia, ho cercato di ispirare la positività a loro. Questo mi ha cambiato la vita. Gli altri sono capaci di proiettare le brutte cose se stanno male con loro stessi.
Hai trasformato la tua caratteristica in una ricchezza.
Assolutamente. Devo proteggermi e devo stare al mondo, devo vivere e se devo vivere non voglio vivere solo per gli altri ma anche per me.
Dalle passerelle dei Luxury Brand fino alla ricerca di una concezione di moda diversa, perché adesso sei fondatrice di “A Coded World”. Cos’è questa realtà?
Questa è la realtà che mancava durante il mio piccolo percorso nell’ambiente della moda, soprattutto in Italia, dove ti dicono sei vecchia, sei nera, sei gialla. Per me “A Coded World” è un coded di tutti noi. Ho conosciuto modelle da tutte le parti del mondo e non volevo diventare una ex modella parcheggiata in un angolo, volevo fare qualcosa di più. Con le mie amiche ex modelle di tutto il mondo abbiamo messo il nostro coded insieme e quello che abbiamo imparato in quest’ambiente l’abbiamo trasformato in un progetto nuovo che ci rappresenta a 360 gradi.
Tu promuovi artisti emergenti, stilisti emergenti e quindi una nuova concezione della moda, non solo esteriore, ma anche una trasposizione all’esterno di quella che è l’interiorità di questi stilisti, i quali raccontano la loro arte partendo dalle origini proprie o del paese in cui si trovano a creare. Possiamo definirlo così?
Assolutamente. Come dicevo prima, molti di noi hanno sogni, uno lascia la propria terra, vengono a cercare lavoro e ti rendi conto che molte volte non ce la fanno perché ti dicono che non c’è la possibilità. Abbiamo creato questo progetto per dare la possibilità ognuno all’altro. Se io so fare una cosa, lui un’altra, l’altro un’altra ancora unendo le forze possiamo fare emergere quello che è il proprio sogno. Non possiamo sempre accettare la porta in faccia, non voglio una vita così, se posso voglio dare la possibilità.
Possiamo accostare su questa concezione di libertà la moda all’arte. Cosa ne pensi?
Sono come marito e moglie si amano, si odiano, si lasciano, si prendono. È il senso della vita per un’artista, un’esigenza espressiva.
Se ti dico “Teaching the way”, “Insegna la strada”: cosa ci racconti?
È un progetto bellissimo che abbiamo fatto. Nei paesi occidentali si dice, ”Diamo €5 alla ragazza africana che sta morendo di fame”, questo mi fa star male e soffrire. Anch’io sono cresciuta in Africa e sentivo dire “non ti preoccupare ci sono io”, ma quando muoiono cosa faccio? È quello il nostro obiettivo nella vita. Va bene l’educazione, è fondamentale. Ma nel corso della mia vita devo imparare a fare qualche cosa, devi insegnarmi, non andare a pescare per me ma insegnarmi. Purtroppo siamo in un paese in cui la parte economica sembra risolvere tutti i problemi, invece, c’è una parte culturale che deve essere tramandata assolutamente, come hanno fatto i nostri nonni.
Mi sento di dire una cosa su questa necessità di contenuti e di cultura di cui parli. Tu rappresenti, anche solo con questa intervista, e con le telefonate che ci siamo fatte, non solo una bellezza esteriore ma soprattutto interiore e anche di profondità a livello culturale. Ti pongo una domanda legata a degli eventi a cui hai preso parte e che ti sei presa a cuore. Ti sei presa molto a cuore un evento dal titolo #46ricucirsilavita, come ti adoperi in questi eventi? Come riesci a prenderli a cuore così tanto?
Dove cercano questo tipo di attività, voglio dare il mio contributo. Le persone che sono oppresse e che sono in quelle situazioni se avessero trovato qualcuno che le avessero aiutate magari non sarebbero dove sono, però il danno è fatto. È più facile giudicare. Noi possiamo cercare di aggiustare e ricucire la vita con quello che è rimasto, possiamo avere una seconda opportunità. Ogni giorno quando ci svegliamo abbiamo una nuova opportunità.
Questo è l’esempio di come può adoperarsi la moda in altri ambiti, pur restando ugualmente appetibile, stilosa e bella ma avendo un contenuto che possa aiutare gli altri, che possa cambiare le sorti di un paese se non di uno stilista o comunque di una donna. Quando la moda comincia a raccontare la storia non vendete solo abiti. Tutti sono capaci di prendere abiti. Quello che sta facendo #46ricucirsilavita è raccontare una storia. Io non voglio spendere soldi per comprare un abito se non so la storia, è un piacere in più vestire se quello che indossiamo ha una storia. L’abbiamo dimenticato ma fa parte anche di noi, della nostra energia e la assorbe.
Ti ringrazio. Un saluto e alla prossima pillola fashion.